Molti ritengono che il Karate sia un'arte di meditazione, un modo per fare riflessioni su se stessi nel presente. Ed è per questo che si va nel dojo a praticare senza pensare alle circostanze che ci contornano nella vita di tutti i giorni.
Se si potesse rendere ogni momento della vita un momento di perfezione sarebbe un bel vivere davvero. Ma tutto ciò è assai difficile o talvolta quasi impossibile. Spesso ci si deconcentra, si perde il senso del presente, si diventa apatici od indifferenti. Bisognerebbe provare a rendere perfetti almeno i momenti, pochi, in cui si pratica karate.
Per raggiungere questo scopo ci si siede in ginocchio per alcuni istanti prima e dopo l'allenamento e si pratica il mokuso. Moku significa silenzio e so signifca pensare.
A discredito di ciò che comunemente molti pensano e cioè che la meditazione porta a vuotare la mente, mokuso significa invece diventare pienamente coscienti dei propri pensieri. L'ideogramma so infatti contiene parti che significano occhio e mente. Messi assieme significano guardare nel proprio cuore. Mokuso dunque non è astrazione ma un momento pieno, ricco di pensieri sulla vita. Durante queste pause in silenzio i karateka mettono a fuoco la vita del presente verso la pratica del karate prima ancora di iniziare. Alla fine dell'allenamento il mokuso diventa una opportunità per reinserirsi nella vita al di fuori del dojo.
Diventa sorprendente come si possa avere una prospettiva fresca sulla routine quotidiana dopo essersene allontanati per un certo tempo. Gli aspetti meditativi del karate favoriscono sicuramente lo stato mentale di apprezzamento verso la vita nella sua essenza.
Il mokuso viene anche inteso come riflessione sul tempo speso nel dojo (oppure in classe o sul lavoro). Abbiamo fatto del nostro meglio? Siamo rimasti concentrati durante la lezione? (durante lo svolgersi del lavoro?) ... Oppure il mokuso può essere un momento di gratificazione che ci incoraggi a fare meglio una prossima volta.